giovedì 9 agosto 2007

Attenzione qui ci vogliono far credere che Draghi sia lo strenuo difensore di Fort Alamo

IL RETROSCENA. Dossier Bankitalia in cui si simula
un'emergenza finanziaria internazionale dovuta ai mutui Usa
Via Nazionale pronta a fare diga:
riserve da usare in caso di crisi
Nella banca centrale si guarda con apprensione all'uso dell'oro per contrastare il debito pubblico
Le banche italiane sono esposte sui nuovi strumenti finanziari per 6.000 miliardi di euro
di ALBERTO STATERA


SCARAMANZIA vuole che il dossier non sia sulla scrivania del governatore Mario Draghi, al primo piano di palazzo Koch, nello studio provvisorio a fianco della Sala degli Arazzi, dove troneggia la raffigurazione "tessile" di Diana che dinanzi al consiglio degli Dei invoca la "verginità perpetua". Ma come tutti i capi delle banche centrali e delle autorità europee, anche il governatore della Banca d'Italia lo sta silenziosamente compulsando, perché quel dossier contiene la prima "simulazione" per l'emergenza che potrebbe derivare dalla crisi di una grande banca continentale, magari tedesca, francese, olandese. O - dio ci scampi - italiana. Ha richiesto mesi di lavoro e "conference-call" continentali durate anche due giorni di fila.

Ma la fatica non è stata vana perché "da questi esercizi - ha detto Draghi ai banchieri - si impara molto". Scienza accademica, come si spera, o prevedibilmente scienza di uso cogente per crisi imminenti o già virtualmente in atto, sull'onda oceanica dei mutui "subprime" americani o di altre onde mediterranee meno lunghe ma altrettanto rovinose? Onde della nuova finanza e dei rischi connessi, cui la banca centrale è pronta a far diga con tutti gli strumenti a disposizione, compreso quello ritenuto essenziale delle riserve auree, che il governo vorrebbe adesso usare in parte per ridurre il debito pubblico.



Son passati esattamente venticinque anni dal crac del Banco Ambrosiano, che l'ex presidente del Nuovo Banco e presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo Giovanni Bazoli ha rievocato due giorni fa con Massimo Giannini su questo giornale. Un quarto di secolo che non ci ha risparmiato tanti altri scandali finanziari più o meno grandi, in una lista che continua a ingrossarsi di giorno in giorno, ad esempio con l'ultima new-entry di Banca Italease.

Ma da allora, come non si stanca di ripetere il governatore Draghi, che nell'ufficio non ha più incombente sulla testa come i suoi predecessori il dipinto raffigurante il San Sebastiano trafitto dalle frecce, molto è cambiato in termini di concorrenza, di spessore dei mercati finanziari, non più asserviti a pochi individui, magari anche in termini di commistione tra banche e politica, di cui l'ultimo, miserabile esempio abbiamo forse avuto due anni fa nella "saga dei furbetti", messa in scena dal governatore cultore di San Tommaso e dal suo amico banchiere "Fanfulla" predestinato al ruolo di "velona" nell'harem di Lele Mora e nel Billionaire di Flavio Briatore.

Oggi il pericolo viene da più lontano, non dalle discoteche della Costa Smeralda, ma dalle sale vetrificate in cui si coltiva la crescente sindrome da scommessa del capitalismo mondiale. Un capitalismo che produce finanza alla "polvere bianca", sempre più eccitata, per larga parte incontrollabile da qualunque autorità, in un intrico sofisticatissimo di strumenti di copertura, controcopertura, derivati di credito, cartolarizzazioni, hedge funds, private equity, swap, marchingegni finanziari complicatissimi che spesso diventano, in realtà, strumenti di speculazione o moltiplicatori infernali di perdite, che anche i funzionari di banche e assicurazioni primarie vendono a ignari (o furbetti) clienti senza neanche capire bene ciò che stanno smerciando. E le interconnessioni diventano inestricabili persino per le autorità più attrezzate, perché nessuno sa più alla fine in quale parte del mondo, presso quali acquirenti siano finiti i rischi di credito trasferiti. A quale grande assicurazione europea? A quali aziende? A quali inconsci risparmiatori?

Possono, ad esempio, gli americani che non pagano più le rate dei mutui-spazzatura, i "subprime" concessi troppo facilmente per l'acquisto della casa e di ogni bene di consumo, in un'economia fondata sulla plastica delle carte di credito e sul debito, essere portatori, come annunciano alcune prefiche, di un crac finanziario mondiale simile a quello del 1929? Nelle banche centrali europee realisticamente pensano che molte case finanziarie e banche americane magari salteranno sui facili prestiti, ma che il "contagio" non diventerà pandemico. La sregolatezza finanziaria, tuttavia, tiene in ansia le autorità europee, invitate ora da Draghi a definire "in tempi stretti" i principi e le procedure per più frequenti "simulazioni di crisi", come quella appena completata tra mille invocazioni scaramantiche.

Secondo il governatore, che lo ha detto chiaro e tondo ai banchieri italiani, i derivati contribuiscono ad aumentare la produttività del sistema finanziario che cresce, ma a patto che le banche non ne approfittino solo per rimpinguare i loro bilanci, come sembra che in molti casi sia fin qui avvenuto. Sono utili se usati come si deve, ma diventano fonte di instabilità se servono non per coprire i rischi, ma per accrescere il numero dei rischi da assumere e se portano le banche che cedono una parte del rischio a ridurre l'attenzione alla solvibilità dei creditori. Esattamente ciò che sta avvenendo per i mutui ipotecari negli Stati Uniti.

Se il "contagio" americano ci risparmia, non è detto che il dossier che non sosta per scaramanzia sulla scrivania di palazzo Koch sia inutile. Le banche italiane, a cominciare dalle primarie, sono esposte sui cosiddetti strumenti finanziari per 6 mila miliardi di euro, come dire il quadruplo del debito pubblico. Ofrrono talvolta ai clienti, aziende e risparmiatori, contratti con clausole incomprensibili - callable, range accrual, knock in, e chi più ne ha più ne metta nella fantasiosità del lessico finanziario - che anziché garantire una copertura dai rischi derivanti dall'aumento dei tassi del debito, alla fine amplificano semmai le perdite.

Il governatore Draghi che, scaramanticamente, non tiene sul tavolo la preziosa "simulazione di crisi" non può invece, purtroppo per lui, sbarazzare la scrivania dal dossier "Banca Italease", di cui egli stesso ha parlato l'11 luglio scorso all'assemblea dei banchieri: "Grazie a un'ispezione che la Banca d'Italia aveva avviato nel gennaio presso una banca - ha detto - è emerso che la banca in questione aveva venduto a imprese clienti complessi prodotti derivati fortemente esposti a un rialzo dei tassi d'interesse. A seguito degli andamenti del mercato, tali derivati hanno determinato, una forte, repentina crescita nell'indebitamento dei clienti che li avevano acquistati. Oltre ai rischi legali e di reputazione, è cresciuta di conseguenza l'esposizione della banca al rischio di controparte". Banca Italease, che proponeva contratti derivati pieni di formule matematiche e algoritmi incomprensibili anche a un premio Nobel, ha irretito due o tremila clienti in una faccenduola da almeno 750 milioni di euro. Ma attenzione, l'80 per cento di tutte le operazioni in derivati coinvolge anche le grandi banche, Unicredit, Intesa, Monte dei Paschi, Capitalia, Bnl.

"Reputazione" è una delle parole più usate rispetto alle banche e alla finanza senza regole dal governatore Draghi, impegnato al tempo stesso nel complesso restauro della reputazione delle banche vigilate e di palazzo Koch. Ma, ai tempi del nuovo capitalismo e della finanza selvaggia, a quale dio potrà mai chiedere Draghi la "verginità perpetua" rivendicata da Diana?

(9 agosto 2007)

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